Si diventa adulti con la maggiore età? quando si trova un lavoro? O quando si va a vivere da soli?
L’eta anagrafica e le tappe che superiamo non sempre corrispondono al raggiungimento dell’età adulta. Questa mancanza di sincronia a volte fa soffrire se stessi e chi ci sta accanto. Diventare adulti sani e responsabili è un cammino lungo, faticoso e non sempre automatico. Una vera e propria arte che ha come ingredienti il coraggio e la consapevolezza.
Che cos’è che ci blocca a restare eterni fanciulli?
Le cause possono essere esterne ed interne all’individuo: da un lato la società moderna ci chiede implicitamente di restare sempre giovani, produttivi, belli e spensierati, dall’altra ci possono essere dentro di noi ferite dell’infanzia(come il rifiuto o la paura dell’abbandono) o bisogni insoddisfatti che continuano a influenzare il presente.
L’adulto che non riesce a raggiungere la maturità può cercare continuamente di soddisfare bisogni non realizzati nella sua vita attuale, fa fatica a distinguersi dal partner o dai genitori, può sentirsi in colpa per quello che fa, cerca gratificazioni.
“Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato, ne è diventato il padre e la madre.
Adulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guardandole in faccia, non nascondendo il bambino ferito che è stato, ma rispettandolo profondamente, riconoscendone la verità dei sentimenti passati, che se non ascoltati, diventano presenti, futuri, eterni.
Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare.
Adulto è chi si assume le proprie responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie paure e delle proprie fragilità.
Responsabile è chi prende la propria vita in carico, senza più attribuire colpe.
Sembrano adulti ma non lo sono affatto.
Chi da bambino è stato umiliato, chi ha pensato di non esser stato amato abbastanza, chi ha vissuto l’abbandono e ne rivive costantemente la paura, chi ha incontrato la rabbia e la violenza, chi si è sentito eccessivamente responsabilizzato, chi ha urlato senza voce, chi la voce ce l’aveva ma non c’era nessuno con orecchie per sentire, chi ha atteso invano mani, chi ha temuto le mani.
Per tutti questi “chi”, se non c’è stato un momento di profonda rielaborazione, se non si è avuto ancora il coraggio di accettare il dolore vissuto, se non si è pronti per dire addio a quel bambino, allora “l’adultità” è un’illusione.
Io ho paura di questi bambini feriti travestiti da adulti, perché se un bambino ferito urla e scalcia, un adulto che nega le proprie emozioni è pronto a fare qualsiasi cosa.
Ciò che separa il bambino dall’adulto, è la consapevolezza.
Ciò che separa l’illusione dalla consapevolezza è la capacità di sostenere l’onda d’urto della deflagrazione del dolore accumulato. Ciò che rimane dopo che il dolore è uscito è amore, empatia, accettazione e leggerezza.
Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato e ne è diventato il padre e la madre.”
Queste sono le parole di Janusz Korczak, pedagogista, scrittore e medico polacco di origine ebraica, vittima della Shoah.
Se questa sfida diventa troppo faticosa, chiedi aiuto ad uno psicologo che può guidarti in questo viaggio di consapevolezza.
Come V. che dopo due mesi sta iniziando a distinguersi dai suoi genitori e ora mi dice: “Quando mi hanno risposto così male, li ho guardati e per la prima volta ho pensato che deve esser stato davvero molto difficile per loro essere dei genitori dopo tutto quello che hanno passato in famiglia da piccoli, penso che io posso essere diversa da loro, sono un altra cosa.”

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