I disturbi cognitivi nella Sclerosi Multipla

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Si è appena concluso a Roma il convegno nazionale dei giovani dell’AISM 2016.

Tra i molti laboratori proposti si è parlato anche dell’importante incidenza dei sintomi cognitivi nella sclerosi multipla. La dott.ssa Monica Faluano (psicologa e psicoterapeuta dell’Ospedale San Raffele di Milano) ci ricorda come questi sintomi non vadano trascurati perchè così come le disabilità fisiche incidono sulla vita sociale  e lavorativa delle persone con SM.

Per “disturbi cognitivi” si intendono delle prestazioni deficitarie nelle abilità di ragionamento, di pensiero, di attenzione, di memoria o di linguaggio.

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L’incidenza delle alterazioni cognitive varia dal 45% al 65% e colpisce soprattutto l’attenzione, la memoria a breve termine ( in particolare la memoria di lavoro) e la velocità di elaborazione delle informazioni ( Rao, 1991; Fisher, 2001).

Come fare per capire quando la difficoltà a ricordare qualcosa o il non riuscire a trovare una parola durante una conversazione può essere causato dalla SM?

Non è sicuramente facile capirlo. Molte volte queste difficoltà possono essere influenzate dalla stanchezza, dall’umore, dalla quantità di attenzione impiegata o da altri fattori come può accadere normalmente anche a chi non ha la SM. Per capirlo è opportuno quindi fare attenzione alla frequenza di queste difficoltà ed eventualmente rivolgersi a un professionista.

A chi rivolgersi?

E’ necessario richiedere una valutazione da uno psicologo esperto in neuropsicologia. La valutazione, fatta mediante test standardizzati e specifici, serve sia per escludere la presenza di questi sintomi, sia per avere un profilo del proprio funzionamento cognitivo da poter confrontare in futuro per capire se ci sono stati eventuali cambiamenti (esattamente come accade per la risonanza magnetica).

E’ possibile fare riabilitazione?

E’ possibile, ma l’efficacia della riabilitazione neuropsicologica nella SM è un argomento delicato, perché le lesioni non colpiscono sempre le stesse aree. Poiché le descrizioni cliniche sono variabili e dovute alla specificità dei singoli casi è difficile trovare uno strumento che vada bene per tutti.

Può essere molto utile fare dei training che possano aumentare la “riserva cognitiva”, che è invece un importantissimo fattore protettivo.

Fare attenzione a questi sintomi è determinante per intervenire prima che ci sia una compromissione  nella qualità della vita e non solo per i pazienti con SM.

 

Per approfondire:

AISM – Sclerosi multipla: comprendere i disturbi cognitivi

 

 

Dott.ssa Ivana Maltese

Psicologa

 

 

 

 

 

 

 

 

Una malattia terribile e un sintomo bellissimo

Le caratteristiche cliniche dell’Alzheimer possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia è una malattia in cui il paziente e la sua famiglia dovranno comunque rassegnarsi a un decadimento delle sue funzioni cerebrali e a una limitazione progressiva della sua autonomia.

La perdita della memoria è il primo sintomo che compare e  purtroppo anche uno dei più drammatici. I ricordi che sbiadiscono sempre di più sono ciò che disorienta il paziente, che gli fa perdere un identità e che crea nelle sue persone care una ferita incolmabile.                E’ incapace di completare azioni quotidiane, difficoltà ad orientarsi nei luoghi o nel tempo, difficoltà nel condurre una conversazione, ecc..

Sempre più studi sperimentali stanno portando alla luce un sintomo che va “controcorrente”, cioè  qualcosa che invece di peggiorare può migliorare incredibilmente: la creatività.

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Nel Journal of Alzheimer’s Disease, viene riportato a luglio uno studio dei ricercatori del Neuroscience Research Australia intitolato “Non tutto è perduto” in cui si fa il resoconto di tanti studi già pubblicati. Gli autori riportano che “Abilità creative come pittura, disegno e canto, che prima non erano evidenti in un individuo, possono emergere o migliorare in pazienti con malattia di Alzheimer o demenza frontotemporale”.

L’ipotesi è “che la demenza colpisce il cervello in maniera progressiva. L’atrofia nelle fasi iniziali è piuttosto localizzata. Ma quando si estende può spingere all’attivazione le regioni che vengono risparmiate. Le attività cognitive come memoria e linguaggio declinano rapidamente, mentre le facoltà musicali poggiano su circuiti meno intaccati dalla malattia”.

Gli studiosi continuano a studiare questo fenomeno rintracciando nella storia di vari artisti questo collegamento. Come il caso di Maurice Ravel, musicista, che si ammalò di una demenza progressiva all’età di 52 anni che gli tolse gradualmente la capacità di parlare, scrivere e suonare e che scrisse proprio allora la sua opera più celebre, il famosissimo “Bolero” (1928).

Anne Adams, biologa canadese, malata di afasia progressiva  probabilmente di demenza come Ravel, crea delle opere intitolate”Unravelling Bolero” (1994) cercando di rappresentare visivamente ciò che il suo più famoso brano esprimeva.  La trasformazione del Bolero in forma visiva è chiaro e strutturato. L’Altezza delle forme corrisponde al volume della musica, mentre i colori rimangono unificati fino alla comparsa di figure arancio e rosa che annunciano la conclusione drammatica del brano.

dn13599-1_567 "Unravelling Bolero", Anne Adams (1994)

Oggi molte associazioni e centri per l’Azheimer prevedono progetti per lo sviluppo della creatività, corsi di pittura, musica o  visite guidate a musei, come accade per esempio al  Moma di New York o al Museo d’Arte moderna e delle Belle arti di Boston. Anche in italia ci sono molti progetti simili. Ad esempio Massimo Marianetti, che ho il piacere di avere come formatore, neurologo e psicoterapeuta del Centro Sperimentale Alzheimer dell’Istituto San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Genzano collabora con la Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma per effettuare durante il ricovero un ciclo visite di “Museoterapia”.

  "Migraine", Anne Adams (1998).

Puoi trovare altre info su altri progetti svolti cliccando qui, o qui.

Dott.ssa Ivana Maltese, Psicologa

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Problemi nello studio?

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Quando si hanno difficoltà nello studio spesso c’è bisogno di un metodo personalizzato o di strategie adeguate.

Altre volte è necessario prima fare una valutazione neuropsicologica attraverso strumenti diagnostici per capire se è presente un deficit cognitivo.
In entrambi i casi chiedere aiuto ad un professionista, fa la differenza.
La prima consulenza è gratuita proprio per dare ai genitori e ai ragazzi la possibilità di avere informazioni utili senza impegno.

Contattami per un appuntamento.

Dott.ssa Ivana Maltese

 

Si può sperare di sconfiggere l’Alzheimer!

Un’estate piena di tante speranze per sconfiggere una delle patologie più diffuse e debilitanti.  Sono i primi successi significativi della ricerca in questo settore.

Attualmente i farmaci  prescritti ai malati di Alzheimer,  aiutano in parte a controllare i sintomi, ma non impediscono il deterioramento del cervello.

In Italia le malattie neuro degenerative come l’Alzheimer colpiscono 1,2 milioni di persone e purtroppo questo dato aumenterà nei prossimi decenni del 400%  a causa dell’invecchiamento della popolazione.alzheimer

La causa di questa malattia e dei suoi sintomi è stata individuata nell’accumulo di una proteina chiamata beta-amiloide, considerata  responsabile della morte neuronale. Questa sostanza  in eccesso si deposita sulle membrane cerebrali formando delle placche che inibiscono le sinapsi, non essendoci collegamento tra i neuroni questi sono destinati a morire.

Le conseguenze di queste placche causate dalla beta-amiloide sono collegate a un’altra proteina tossica, chiamata Tau. Le proteine tau solitamente servono a facilitare l’espulsione dalla cellula di proteine potenzialmente tossiche, quando questa è anomala questa esplusione non avviene più. Purtroppo, il meccanismo che porta alcuni soggetti a produrre la beta amiloide e ad ammalarsi di Alzhaimer è ancora un mistero, anche se senza dubbio lo stile di vita e l’avanzamento dell’età media giocano un ruolo importante.

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Passiamo alle incoraggianti notizie che provengono dalla ricerca.

A Toronto nel mese di luglio, in occasione della Conferenza Internazionale dell’Associazione Alzheimer, sono stati presentati i risultati di un farmaco chiamato LMTX che sarebbe in grado di fermare il declino mentale, l’indebolimento della memoria e di ridurre la progressione della malattia dell’80%.

Le risonanze magnetiche hanno  rivelato che l’atrofia cerebrale nei pazienti trattati con LMTX si riduceva del 33-38%, rispetto a quelli che avevano preso il placebo.

Mentre i test neuropsicologici, dopo 15 mesi, hanno rivelato che in coloro che assumevano il farmaco da solo senza altri farmaci sia le abilità cognitive che lo svolgere i compiti quotidiani, avevano avuto un deterioramento molto più lento rispetto al gruppo di controllo. Questo farmaco agisce sulla proteina tau anomala ma non ha effetti positivi su pazienti che assumono altri medicinali.

Facciamo un salto e andiamo a Zurigo, dove viene presentato un altro farmaco. Si chiama Aducanumab, è un anticorpo monoclonale, sviluppato da una statunitense, che “insegna” al sistema immunitario il riconoscimento delle placche. Il medicinale è stato testato su un gruppo di 165 persone con Alzheimer . Chi ha ricevuto il farmaco ha mostrato una progressiva riduzione delle placche. I dati riportano che solo dopo un anno le placche sono quasi completamente scomparse.

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Questi studi hanno ancora necessità di essere confermati nel tempo e su campioni più vasti.

Tuttavia anche se bisogna festeggiare con moderazione, possiamo dire con cautela che ci si sta avvicinando ad una soluzione sempre più concreta per curare l’Alzheimer.

Incrociamo le dita e speriamo nella ricerca.

 

Dott.ssa Ivana Maltese

 

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Per approfondimenti:

  • Su Aducanumab, leggi l’articolo originario pubblicato su “Nature”, cliccando qui.
  • Su LMTX, ci sono  altre informazioni su questo farmaco, cliccando qui.
  • Per altre informazioni sulla malattia, consulta  il sito dell’ Alzheimer’s Association, cliccando qui